martedì 25 giugno 2013

Quando l'arte si dipinge di rosa

Si è conclusa brillantemente la mostra intitolata "Pittura in Rosa" che ha chiuso i battenti ieri, 14 Luglio, dopo dieci giorni di esposizione e un notevole afflusso di pubblico.
Doverosi sono alcuni ringraziamenti da parte mia prima di tutto al gruppo "Donne in Arte" di Tiziana Zini e Romana Romeo che mi hanno dato la possibilità di esporre in una location cosi' suggestiva in stretta collaborazione con la Sig.ra Letizia del Comune di Soiano, organizzatrice attenta e professionale di eventi di livello, animata da una passione contagiosa e al critico Simone Fappanni che con lucidità e grande passione ha dato lustro ad ogni artista descrivendone le peculiarità in modo compiuto ed esaustivo.
E' stato interessante partecipare ad una mostra di sole donne, così diverse fra loro e tutte con un mondo interiore da scoprire attraverso le opere esposte.
Fra le mie prigioni di linee dritte e la ricerca di una via di fuga da esse, attraverso esperienze più pittoriche sperimentate per l'occasione, mi sono insinuata e incrociata con i loro pensieri e ne ho colto la ricchezza e la complessità.

Mi sono così imbattuta nella calda sensualità delle donne di Tiziana Zini, nella pittura naif e sognante di Romana Romeo, nell'esplosione passionale delle nature morte di Mariagrazia Conforti e nella modernità dei dipinti di Daniela Braga, seducenti e accattivanti.
Un posto a parte meritano l'illustratrice Luisa Valenti con le sue incisioni e tavole illustrate di grande eleganza ed originalità e le composizioni di carta di Mara Pasini che hanno decorato e abbellito l'esposizione, lavori di grande pazienza, intuitività e raffinatezza.

Daniela Ravasio
L'incontro e' stato fonte di confronti proficui e mi ha dato il modo di interrogarmi sul cammino intrapreso, sondarne le motivazioni, accertarne i confini e ampliarne le possibilità. A mostra finita infatti, chiudendo le porte e spegnendo le luci, la sensazione non era quella di qualcosa  di concluso, di terminato, un'esperienza da archiviare fra le tante vissute nelle vite di tutte noi, piuttosto la consapevolezza di essere ormai legate da un'emozione così intensa che, insieme o separatamente avrebbe donato altri frutti.
Eccovi alcuni scatti delle mie opere e di seguito quelle delle pittrici e delle altre artiste in esposizione.

domenica 19 maggio 2013

Davide Bignami. Un (per)corso inaspettato.


Sabato 10 Maggio presso “Spazio Arte Duina”,qui il link, ha avuto luogo la mostra finale dei corsisti del “Corso di disegno e pittura dal vero” tenuto dall'artista Davide Bignami, corso o meglio (per)corso che ho avuto la fortuna di seguire per circa quattro mesi.

Si, perché lavorare con Davide Bignami è stato un viaggio, un’esperienza vissuta con gli occhi della curiosità, dell’osservazione, della pazienza e del rispetto verso gli oggetti che ogni volta ci prestavamo a rappresentare.
Proprio come il viaggiatore che, entrando in un paese sconosciuto, vi si addentra in punta di piedi, con il garbo di chi sa di essere straniero in casa d’altri, con la voglia di capire piuttosto che l’arroganza di sapere o giudicare e con la saggezza di colui che continua ad arricchirsi delle cose infinitamente piccole, così Davide, nostra guida in questo itinerario, ci ha regalato la sua esperienza di valente docente introducendoci a varie tecniche di disegno e pittoriche, ma il suo messaggio è andato ben oltre il mero insegnamento ed è risultato essere molto più illuminante di quanto noi stessi potessimo mai sperare. 

Ed ecco le mie due opere :


domenica 14 aprile 2013

Samurai



I giapponesi sono un popolo bellicoso, un popolo di guerrieri, la cui storia è costellata di guerre di ogni tipo, tatticamente ben strutturate e organizzate, nelle quali emerge una costante: il valore del singolo, la pura dedizione del Samurai.
Il termine Samurai deriva dal verbo saburau, che significa servire o tenersi a lato, letteralmente “colui che serve”, o più propriamente da Bushi, laddove bu significa marziale e shi è l’insieme di due segni che rappresentano la conoscenza.

I Samurai, nel Giappone feudale, erano guerrieri nobili che, oltre alle arti marziali connesse alla loro professione, praticavano arti Zen e coltivavano la propria preparazione culturale e personale.
Ebbero il loro massimo splendore fra il periodo Heian e il periodo Muromachi quindi essenzialmente tra l’anno mille la fine del cinquecento ma già durante il periodo Edo (1600-1866) iniziarono a perdere la loro funzione di guerrieri e vennero relegati al compito di burocrati al servizio dello Shogun o di un Daimyo (signorotto feudale). Taluni fra loro venivano chiamati solo per le cerimonie ufficiali e la loro spada veniva esibita non per il combattimento ma per scopi dimostrativi o per sottolineare l’appartenenza alla loro casta.
Molti Samurai vennero successivamente abbandonati dai loro Daimyo o perchè il Daimyo era morto o perché ne avevano perso il favore e la fiducia. Allora venivano appellati con il nome di Ronin che letteralmente significa “uomo onda” ma che aveva in sé un significato dispregiativo nel senso di uomo che vaga senza uno scopo.

domenica 17 marzo 2013

Inaugurazione ArteDonna 2013



Emanuela Fera
Sabato 9 Marzo, alle ore 17.00 presso Tuttolibri si e’ inaugurata la rassegna ArteDonna 2013 che resterà aperta al pubblico fino al 11 aprile.
Questo evento che si è svolto con il patrocinio del Comune di San Zeno Naviglio, la perfetta organizzazione del critico d’arte e scrittore Simone Fappanni e dell’associazione Donne in Arte, ha visto la partecipazione di molte artiste valenti ed è stato impreziosito dalla presenza di quattro poetesse che ci hanno fatto sorridere e riflettere con le loro parole intense.

Gli aforismi pungenti di Daniela Bonomi, la passione per il mare di Simonetta Fantoni,e poi la grazia di Vanna Cicognini e la determinazione di Francesca Fedele, hanno reso omaggio a tutte le sfaccettature dell’animo femminile, la fragilità e la forza, i turbamenti e le gioie, le cadute e le rinascite di ogni giorno.


Quello che si respirava era un universo al femminile e i partecipanti, immersi in opere e parole di donne, erano circondati da colori ed emozioni che avevano la morbidezza di un caldo e rassicurante abbraccio, quello che solo le donne che amano sanno donare.
La serata è stata di grande interesse.
Il Dott.Fappanni ha dato spazio a tutte le artiste singolarmente, descrivendone qualità e tecniche pittoriche e tracciando le linee principali del loro percorso artistico attraverso una sapiente esposizione che ha messo in risalto le caratteristiche peculiari di ognuna.
La varietà di stili e di temi ha reso la rassegna ancora più accattivante.
Ogni opera esposta era un mondo che si apriva, una sensibilità che voleva uscire, un bisogno di espressione che pretendeva di emergere, un dolore che aveva bisogno di essere lenito, una goccia d’amore che chiedeva di essere donata.

L’opera con la quale ho partecipato alla rassegna si intitola “Silente Perfezione – Inverno” e fa parte di un progetto di quattro tele rappresentanti le quattro stagioni che vuole essere un omaggio alla grande arte giapponese dell’Ikebana.

Daniela Ravasio
La tradizione estetica giapponese è volta alla ricerca di un perfetto equilibrio fra natura e religione.
Per i Giapponesi tutto può trasformarsi in arte: dal preparare il tè, a collocare fiori in un vaso, fino all'estremo sacrificio della propria vita, ma per fare ciò ci si deve imporre una ferrea disciplina .
La bellezza è nell'equilibrio di forme e spazi, la bellezza non ha bisogno di infrastrutture, la bellezza è essenza, è silenzio, quel silenzio che porta alla concentrazione, alla meditazione, alla consapevolezza di sé.

Tuttavia il termine ”silente” in queste opere non rappresenta solo il silenzio in quanto stato ideale del creare, ma ha in se’ anche l’accezione di “Still”, di Still Life in inglese e quindi colloca le medesime nella categoria delle nature morte, ferme, immortalate nell'attimo  inesorabilmente statiche ma proprio per questo perfette e immutabili nel tempo.

martedì 26 febbraio 2013

Rassegna d’arte contemporanea ArteDonna2013

Grazie a Tiziana Zini, valente artista e ritrattista, fondatrice del gruppo “Donne in Arte” insieme a Romana Romeo e proprietaria del negozio/galleria di belle arti “Un angolo d’Arte” in Corso Garibaldi a Lonato del Garda (Brescia), qui dove contattarla e al Dott. Simone Fappanni, critico d’arte, scrittore e poeta di chiara fama, qui il suo sito dove si raccolgono pagine interessantissime su tecniche artistiche, nuovi linguaggi creativi oltre ad eventi di pregio, ho potuto partecipare a questa rassegna che si terra’ dal 9 marzo al 11 aprile 2013.

Ringrazio Tiziana che mi ha proposta e ringrazio Simone che mi ha accettata.

domenica 24 febbraio 2013

Questioni di Stile

Dopo la nostra prima collaborazione nella mostra “Partita Doppia”, qui, io e Lorena (Bastianoni), estremamente galvanizzate dal successo che avevamo riscosso, pur consapevoli che si trattava di un evento circoscritto, sentivamo dentro una specie di strana e inspiegabile ansia creativa che ci faceva incontrare e discutere per ore di progetti futuri e di arte.
Fu proprio durante quelle serate davanti a fumanti tazze di caffè e a troppi dolcetti che nacque l’idea di “Questioni di stile”.

Nelle nostre elucubrazioni avevamo spesso preso in considerazione il fatto di essere così diverse nell’interpretare l’arte e mettendo le nostre due sensibilità a confronto, fra tradizione e modernità, era logico ed estremamente lineare che il nostro disquisire ci portasse inevitabilmente a parlare di stile.

Ma cos’è lo stile?
Lo stile puo’ essere una tendenza artistica o letteraria che scaturisce da un particolare momento della storia oppure semplicemente un modo di porsi, di vestire, di muoversi, di vivere. Le due componenti si influenzano vicendevolmente e il macrostile di un particolare periodo storico viene accettato o osteggiato da una serie di microstili che danno origine a nuove correnti stilistiche che a loro volta influenzano il gusto comune.
Molti stili continueranno ad esistere e ad estendere la propria influenza, alcuni saranno semplicemente considerati delle mode passeggere e molti altri convivranno e si evolveranno.

Mentre Lorena, più tradizionale, portava le sue argomentazioni di stampo classico per spiegarmi il motivo delle sue scelte pittoriche, la sottoscritta, assolutamente innamorata di arte contemporanea sbocconcellava biscotti e concetti filosofici su avanguardie e correnti ideologiche del nostro ultimo secolo.
Poi, come se l’una avesse intuito quello che l’altra aveva pensato, io e Lorena ci guardammo e sorridemmo e, all’unisono, dicemmo: “Ma si, al di là di tutto è una questione di stile”.
Era il nostro titolo. Cambiammo solo una vocale.

Lo stile che doveva animare il nostro progetto pittorico partiva dalla consapevolezza della nostra diversita’, non solo come espressione formale o tendenza artistica, ma come soggetto portatore di qualita’ precise che assumevanono un significato intrinseco e particolare, in grado di determinare i valori morali, ideologici e culturali di ognuna di noi e della nostra evoluzione personale.

domenica 10 febbraio 2013

Mes Africains


Il Giappone è dritto, l’Africa è curva


Il titolo di questo post, tratto da un articolo del collezionista d’arte francese Jean Pigozzi e trovato per caso poco tempo fa in rete, qui l’originale, nemmeno a farlo apposta, riassume esattamente quella che è stata la linea pittorica che ha mosso la mia ispirazione.
Chi mi conosce e ha già letto la sezione dedicata alle opere di stampo giapponese qui, riconoscerà certamente nella prima affermazione un chiaro nesso con la mia passione per il geometrismo estremizzato dei soggetti e il loro essere ingabbiati in confini delimitati da linee inesorabilmente dritte.
Questa affermazione il Sig. Jean Pigozzi la pubblica nel 2011 ma la sottoscritta aveva già sviluppato, del tutto inconsciamente, questo concetto nel lontano 2007, periodo nel quale ho cominciato ad approfondire la mia personale filosofia sul tema.
Il problema e’ che non mi chiamo Jean Pigozzi e che purtroppo tutte le mie belle teorie sono rimaste solo mie senza nessuna divulgazione.

Ma non è finita!

Dopo la fase giapponese il mio appetito espressivo e la mia urgenza di creatività volevano guardare oltre.
Avevo scoperto il colore e le diverse opportunità che le mescolanze cromatiche potevano creare e intuii che stavo cercando un modo in cui mettere insieme l’apparente staticità e il rigore formale delle opere di ispirazione giapponese con la voluttuosa morbidezza di una pennellata di colore.
Ma quale poteva essere il soggetto?

domenica 27 gennaio 2013

Geisha


Gli scambi culturali fra l’Occidente e il Giappone si sono ormai consolidati da tempo ma la percezione del mondo giapponese da parte di alcuni è ancora legata a luoghi comuni, in particolare se si parla di Geisha.
Il termine “Geisha” ha una lunga storia e significa letteralmente “persona versata nelle arti dell’intrattenimento”, “persona di talento”. Il termine “gei “ indica infatti arte, abilità.

Fra il 1603 e 1867 (Periodo Edo) tutti coloro che erano persone di talento o abili intrattenitori erano chiamati Geisha. Ad esempio i maestri di arti marziali erano chiamati Bugeisha (Bu significa militare) cioè talentuosi e abili nel combattimento e i danzatori del Kabuki (tipo di teatro giapponese tradizionale)erano chiamati Geisha per distinguerli dagli attori.

Le prime figure che possiamo paragonare alle Geisha, possono essere ricondotte alle Saburuku , intrattenitrici richieste dalle classi nobili che apparvero intorno al XVII secolo, da distinguersi dalle Yuujo, che erano invece prostitute professioniste. Queste ultime, in breve tempo, soppiantarono le Saburuku nelle feste organizzate dall’aristocrazia e, durante tali ricevimenti, qualora venivano richiesti intrattenimenti di vario genere, era possibile la presenza di Geisha che, all’inizio, erano uomini.
Nel tempo gli uomini furono sostituiti da Geisha femmine, molto più piacevoli per leggiadria e movenze, e il loro successo fu immediato.
Durante il periodo Edo quando lo Shogunato di Tokugawa rese la prostituzione legale, per un certo periodo, le figure delle Yuujo e quelle delle Geisha furono spesso confuse e fu solo successivamente che la distinzione divenne netta attraverso leggi precise che determinarono prestazioni, comportamenti e addirittura quartieri separati fra Geisha e Yuujo.
Questo fu quello che avvenne all’interno del Giappone.

domenica 20 gennaio 2013

Partita Doppia

Per la mia prima vera mostra risultò incisivo e fortunato un incontro che feci durante il corso di pittura della pittrice Giulia Alberti di cui ho già parlato qui.
Vi erano all’interno del gruppo molte persone interessanti ma una in particolare mi colpì per la sua allegria, la fragorosa risata, il modo di fare schietto e cristallino e non ultimo per il talento.

Lorena Bastianoni, questo è il suo nome, dipingeva già da parecchi anni e aveva affinato, nel tempo, una tecnica ad olio che rasentava la perfezione. Ogni suo quadro traeva spunto dal suo grande amore per la natura e da quella nostalgia che prende quando si pensa alle cose del passato e a certi valori composti e silenti che non hanno certo bisogno di essere spiegati a parole.
Una nevicata improvvisa, una casa diroccata in campagna, l’esplosione di colori di un prato fiorito o una finestra su cui una mano semplice aveva appoggiato quotidiani utensili da cucina parlavano di un mondo antico a cui Lorena era legata e al quale sapeva dare dignità e nobiltà attraverso fluide pennellate sapienti.
Certamente molto lontana dalle oscure prigioni delle mie linee dritte e dalla spigolosità drammatica delle mie strane figure, era aperta, disponibile, quindi anche caratterialmente opposta al mio intrinseco pessimismo e alla mia diffidenza istintiva che, solo a tratti, lasciava spazio a un po’ di calore.

A quell’epoca, su suggerimento della mia insegnante e forse anche per una precisa esigenza di riscontro, pensai di esporre qualcosa di mio e di verificare quale fosse la reazione del pubblico di fronte a ciò che creavo.
Altri del corso l’avevano fatto in gruppo nei paesi limitrofi ma nessuno mi aveva proposto di partecipare. La ragione era che avevano tutti lo stesso stile, la stessa tecnica, i medesimi soggetti, che si amalgamavano in modo congruo fra loro dando all’esposizione un carattere omogeneo e ben strutturato. Invece se mi fossi presentata io in mezzo a loro, avrei per forza catturato l’attenzione semplicemente perché ero diversa destabilizzando l’armonia dell’evento e creando uno squilibro che credo non piacesse al gruppo.
Fare da sola una mostra personale era del tutto fuori luogo, la mia produzione di allora non era sufficiente, e anche dal punto di vista organizzativo sarebbe stato piuttosto complicato.

Ci voleva un’idea.

domenica 13 gennaio 2013

Incontri d’arte: la mia prima “mostriciattola"


L’opportunità di esporre davanti ad un pubblico vero, fino a quel momento il mio pubblico era da individuarsi nella cerchia ristretta dei miei famigliari e amici, ovviamente non sempre del tutto imparziali, mi è stato dato da una cara amica, anche lei, a suo modo “artista” la quale, in una radiosa giornata di settembre mi ha invitata ad un evento organizzato nello splendido giardino del suo atelier di acconciature per signora.
Il giorno in cui mi è stato comunicato che avrei partecipato all’evento insieme ad altri “artisti” di altri settori, la prima reazione è stata di paura.
Non è così facile portare qualcosa che fino a quel momento è stato nascosto, qualcosa che appartiene alla sfera dell’intimo, del personale, improvvisamente all’esterno e in balia di un pubblico sconosciuto e imprevedibile.
Mi sentivo lusingata ma depauperata, come se mi stessero togliendo una parte della mia anima, come se qualcuno stesse raccontando la mia storia indifferente alle mie reticenze o stesse svelando quello che fino ad allora era solo un mio segreto.
Era una sensazione strana accompagnata ovviamente da un vero e proprio terrore del giudizio sommario che, inevitabilmente ,sarebbe piombato sulla mia testa probabilmente mettendo fine alla mia velleità di essermi considerata una pittrice.
Ma come poteva la gente sapere quello che io avevo passato, sudato e sofferto per arrivare a ciò che avevo prodotto? Come avrei potuto spiegare il cammino, l’idea, il pensiero che sottendeva alle mie opere? Spiegare o rifuggire da ogni tipo di spiegazione?
Mi consultai con la mia insegnante di allora, la pittrice Giulia Alberti, una guida e un sostegno per me da quando, armata dei miei schizzi pazzi, avevo varcato la soglia della sua scuola di pittura e avevo subito capito che lì proprio non c’entravo nulla.
Mi ero trovata in una sala piena di gente che disegnava e dipingeva in modo classico, olio e carboncino, tecniche a me del tutto sconosciute che mai avrei pensato di approcciare ma che nel tempo ho comunque dovuto approfondire, e mi paralizzai pensando che quella signora, con il suo curriculum di tutto rispetto e la sua preparazione artistica di comprovato valore, di certo mi avrebbe cacciata seduta stante.

L’intelligenza di un insegnante risiede nell’apertura mentale e nel saper riconoscere e incanalare le capacità e le attitudini dei propri allievi.

Cosi’ mi prese per mano, aprì i miei scarabocchi con quel rispetto non scontato per il lavoro altrui e ci vide quello che nemmeno io sapevo vedere. Sentì il dolore, la rabbia, la mia ferrea volontà di voler chiudere tutto in ipergeometrismi definiti per non incappare in sbavature e fuoriuscite dell’anima. Capì il mio bisogno di mettere tutto in una scatola, di arginare la furia delle mie emozioni deliranti chiudendola dentro confini invalicabili e prigioni di righe dritte.
Ma vide anche la mia innata fragilità, il mio bisogno di nascondere dietro l’apparente durezza delle forme quella delicatezza dello spirito che non sapevo più esprimere ne’ riconoscere.
Sono stata con lei per due anni. Mi ha insegnato molto e non era solo tecnica.

In quella occasione, esponendole il mio problema per la piccola mostra che mi era stata proposta, con la solita saggezza che la contraddistingue e con la generosità che è dei grandi, mi disse che la paura era del tutto legittima, in fin dei conti si trattava della mia ““prima volta” ma quel sentimento spontaneo non mi doveva far perdere di vista la cosa più importante che era la consapevolezza del mio lavoro e la serietà del mio impegno, qualità che avrebbero potuto emergere solo attraverso una presentazione efficace e non casuale, nel rispetto di chi avrebbe visitato il mio piccolo mondo. Le sue parole mi diedero conforto e nuova linfa creativa.
Ricordo che mi ci è voluto un bel po’ di studio e di sudore per allestire la mia prima, come la chiamo io “mostriciattola” ma alla fine tutta la fatica è stata ripagata.

Potete vedere l’articolo che ne è scaturito qui.

martedì 1 gennaio 2013

Le motivazioni di una scelta


Il desiderio di iniziare il mio percorso pittorico “attivo” nasce dal mio grande amore per la cultura giapponese.
In particolare mi ha sempre affascinato il periodo dei Samurai che va dalla fine del XII secolo, quando il governo aristocratico dii Taira fu sconfitto dal clan di Minanoto Yoritomo che spodestando l’imperatore si diede il titolo di Shogun e stabilì la supremazia dei Samurai, sino alla metà del XIX secolo quando iniziò il loro declino.

Nel periodo di maggior fasto della storia dei Samurai, più o meno verso il 600 appaiono le Geisha, intese come donne intrattenitrici, altra interessante figura erroneamente considerata dalla cultura occidentale per molto tempo solo al pari delle nostre prostitute ma che ben altro ruolo e potere aveva all’interno delle case di piacere.

“Noi geisha non siamo cortigiane e non siamo mogli. Vendiamo la nostra abilità, non il nostro corpo. Creiamo un altro mondo, segreto luogo solo di bellezza. La parola geisha significa artista, ed essere geisha vuol dire essere valutata come un'opera d'arte in movimento”.




Questo periodo storico è costellato di enormi segreti, inesorabili complotti, sanguinose battaglie per il potere, di sensuali piaceri, di immense opere d’arte, di violenza esagerata e spiritualità intensa , di voluttà e rigide regole di comportamento, di grandi passioni e leggi intransigenti, il tutto portato alle estreme conseguenze.

Questo vale sia per i samurai :
 “In un mondo irreale, la morte è l’unica verità. Vivere la vita quotidiana come se si fosse già morti, è seguire la Via della Verità”
sia per le geisha :
“Noi non diventiamo geisha per perseguire il nostro destino... noi diventiamo geisha perché non abbiamo scelta”
che dovevano sottostare a codici di comportamento assurdamente disciplinati, educazione al sacrificio, ferree regole di vita e molto allenamento nelle diverse abilità richieste. Mi sono messa così a studiare la storia di questi personaggi ormai parte della leggenda e le forme di questo mondo così lontano dalla nostra cultura ricercando tra le apparenti morbidezze delle vesti e i sinuosi gesti delle tradizionali cerimonie, la pulizia intellettuale e l’ ordine patologicamente rigido, tipico della mentalità di quell’umanità.

La mia analisi è partita dall’osservazione di ciò che meglio rappresenta il Giappone, il ventaglio.

Accessorio immancabile nell’universo femminile e strumento di guerra in quello maschile, il ventaglio cela la bellezza e ammanta lo sguardo di fascino, ma nasconde l’intenzione. E’ strumento di seduzione ma arma letale. E’ semicerchio ma triangolo, fluidamente rassicurante ma strutturalmente acuto e pericoloso.

Il triangolo come figura simbolica e geometrica diventa quindi parte integrante della mia forma espressiva e rappresentazione grafica di quasi tutte le figure che compongono i miei quadri, i quali alternano geometrismi affilati e asciutti a forme più morbide e meno angolose mantenendo comunque fede alla rigida e inflessibile morale di una cultura, quale quella giapponese, che ha fatto della precisione e dell’intransigente accuratezza dei suoi riti quotidiani una filosofia di vita.


E’ uno stile spigoloso, di una rigorosità etica ancor prima che estetica, volta alla speculazione del tratto distintivo piuttosto che perdersi nel dettaglio. Lo scopo è la ricerca dell’essenza, della matematica certezza, della stabilità delle linee dritte, dei cromatismi decisi e netti dell’ordine contro il caos, della ragione piuttosto che della passione.